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Sito ufficiale Parco Archeologico dell'Appia Antica

Il 20 luglio 1989 viene dichiarato l’interesse culturale particolarmente importante di un piccolo casale di proprietà privata, situato al civico 195 della via Appia Antica, in corrispondenza dell’inizio del tratto di strada appartenente al demanio dello Stato.

L’interesse culturale dell’immobile deriva dal suo essere testimonianza della continuità di uso – in epoca medievale e successiva – di strutture risalenti all’età romana.

L’edificio, dalle caratteristiche costruttive tipiche della casa contadina dell’agro romano e databile al XVIII secolo, sorge infatti su resti di un monumento funerario, del quale sono state riconosciute più fasi, di età compresa tra il I secolo a.C. e il III secolo d.C. Si conservano resti di un nucleo in opera cementizia e una struttura in opera reticolata, alla quale si sono sovrapposte murature in laterizio e opera listata di filari di laterizi e bozze di tufo.

Per salvaguardare la visibilità, la prospettiva e il decoro del complesso, nell’area retrostante è stata imposta una fascia di rispetto.

Il 19 maggio 1975 il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, istituito pochi mesi prima, dichiara l’importante interesse archeologico dei resti di una villa romana rinvenuta ai limiti della valle della Caffarella, presso via Carlo de Bildt.

Il complesso, reinterrato dopo le indagini, ha una planimetria articolata, composta da ambienti termali e vani quadrangolari collegati sul lato settentrionale a un criptoportico di sostruzione.

È stato messo in relazione con la villa il ritrovamento, avvenuto nel 1879, di una conduttura idrica in piombo, con impresso il nome di Q(uintus) Vibius Crispus, curator aquarum nel 68-71 d.C., tre volte console e amico dell’imperatore Vespasiano.

Le strutture, nella maggioranza dei casi conservate in elevato per oltre 2 metri, sono riconducibili a più fasi edilizie, databili tra la tarda età repubblicana e il IV secolo d.C. Al primo impianto appartengono i muri in opera reticolata di tufo, mentre a una seconda fase di ampliamento, databile al II secolo d.C., sono attribuibili i muri in laterizio, che conservano il rivestimento in intonaco.

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Il 18 ottobre 1982 il Ministro per i beni culturali emana il decreto di tutela archeologica diretta dei resti di una villa romana di epoca imperiale, situata in corrispondenza di un casale sull’Appia Antica, al bivio con via della Caffarella. Del complesso, individuato nel 1974, si conservano cinque ambienti con strutture in opera reticolata e laterizia e una cisterna circolare contraffortata. Notevole, in particolare, è un mosaico a tessere bianche e nere con scena di corteggio marino, che probabilmente pavimentava un ambiente termale.

Il 16 ottobre 1998 è una data molto importante per il Parco Archeologico dell’Appia Antica. È infatti il giorno dell’emanazione del decreto ministeriale di “inclusione dell'intera area costituita dal Parco dell'Appia Antica e delle zone limitrofe di Cava Pace, Tor Marancia, Tor Carbone, di Casale di Gregna-Anagnina e delle Capannelle-Barbuta tra le zone di interesse archeologico”.

Il testo del provvedimento, nel descrivere il territorio e i suoi resti archeologici, evidenzia l’eccezionale importanza archeologica e culturale del parco dell’Appia, per le sue “rilevanti presenze archeologiche monumentali, universalmente note” e “per le caratteristiche storico ambientali, uno dei luoghi più belli e suggestivi della campagna romana”.

Le “zone di interesse archeologico”, costituite da aree nelle quali viene riconosciuta la persistenza del paesaggio archeologico, sono oggi individuate, all’art. 142, comma 1, lettera m del vigente Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, quali beni paesaggistici tutelati per legge.

Introdotte per la prima volta nell’ordinamento dalla legge 431 del 1985, nota come legge Galasso, grazie anche alle battaglie culturali in cui hanno avuto un ruolo decisivo i movimenti ambientalisti e numerosi intellettuali, tra i quali Antonio Cederna, sono considerate come uno dei caratteri fondamentali della forma stessa del territorio italiano.

Il 16 giugno 2003 il Soprintendente regionale decreta l’interesse archeologico particolarmente importante dell’area interessata dalla presenza di parte della necropoli sopraterra (subdiale) e della catacomba di Pretestato.

Il complesso sorge al secondo miglio della via Appia, lungo un tracciato viario antico ricalcato dalla odierna via Appia Pignatelli. Occupa un settore probabilmente pertinente, in origine, al Pago Triopio, la vastissima proprietà del retore, filosofo e politico ateniese Erode Attico, vissuto a Roma sotto Antonino Pio e Marco Aurelio.

A partire dalla fine del II secolo d.C., l’ambito territoriale viene convertito all’uso funerario. Vi si impiantano una ricca necropoli sopraterra, e, a partire dagli inizi del III secolo d.C., l’eccezionale ipogeo.

La catacomba sorge intorno a una preesistente opera idraulica, la c.d. Spelunca Magna, e si articola su più livelli e in più regioni, sviluppatesi nel corso del III e del IV secolo d.C.

Alla necropoli subdiale appartengono due sepolcri monumentali in laterizio, databili alla fine del IV o agli inizi del V sec. d.C. e denominati “mausoleo dei Calventii” e “mausoleo dei Cercenii” dall’architetto cinquecentesco Pirro Ligorio, che ne esegue i rilievi. Il mausoleo dei Calventii, o mausoleo esaconco, ha pianta circolare con sei absidi, preceduta da un vestibolo rettangolare, ed è coperto a cupola. Il mausoleo dei Cercenii, o mausoleo cruciforme, ha pianta a croce greca e copertura a crociera.

Per approfondire, consigliamo di consultare il volume di Lucrezia Spera, Il complesso di Pretestato sulla via Appia. Storia topografica e monumentale di un insediamento funerario paleocristiano nel suburbio di Roma (Roma Sotterranea Cristiana XII), Città del Vaticano, Pontificio istituto di archeologia cristiana, 2004 (https://www.academia.edu/1302982/Il_complesso_di_Pretestato_sulla_via_Appia._Storia_topografica_e_monumentale_di_un_insediamento_funerario_paleocristiano_nel_suburbio_di_Roma_Roma_Sotterranea_Cristiana_XII_._p._1-375_CITTÀ_DEL_VATICANO_Pontificio_istituto_di_archeologia_cristiana_ISBN_88-85991-34-3).

Il decreto di importante interesse archeologico emanato il 12 giugno 1986 ai sensi della L. 1089/39 dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali sottopone a tutela le Catacombe ebraiche di Vigna Randanini, che si estendono al II miglio della via Appia Antica in un’area compresa tra via Appia Pignatelli e vicolo della Basilica.

Le catacombe di Vigna Randanini, testimonianza dei riti e delle modalità di sepoltura in uso da parte della vasta comunità ebraica presente a Roma tra il III e il IV sec. d.C., sono poste nelle immediate adiacenze dei maggiori complessi catacombali romani quali S. Callisto, S. Sebastiano e Pretestato, e costituiscono anch’esse uno dei complessi sepolcrali più importanti del suburbio.

La pianta è fortemente irregolare e si sviluppa in numerose gallerie e bracci secondari su due livelli per una lunghezza complessiva di circa 700 metri, di cui circa 400 ancora percorribili.

Le catacombe ebraiche di Vigna Randanini furono scoperte nel 1859 da E.Herzog, studiate e pubblicate nel 1862 da R. Garrucci; tuttavia la pianta fu presentata solo nel 1933, in appendice al corpus delle iscrizioni ebraiche di J.B. Frey. Il complesso è scavato nel fianco roccioso di una collina e l’ingresso principale è sulla via Appia Pignatelli, quasi di fronte al cimitero di Pretestato. Esso è preceduto da una serie di strutture in muratura che presentano due fasi edilizie: la più recente, in opera vittata, a carattere funerario, con arcosoli e pavimento musivo.

Dal vano d’ingresso originario, che era provvisto di un pozzo, partivano gallerie oggi franate.

Esso era in comunicazione con un altro ambiente (l’ingresso attuale), che collega le strutture esterne alla catacomba vera e propria. Nella regione prossima all’ingresso le gallerie sono per lo più larghe ma basse e piuttosto irregolari; qui si trova la maggior parte dei cubicoli, generalmente di modeste dimensioni e tutti ricoperti di intonaco bianco salvo uno, che presenta partizioni geometriche e una Menorah sulla parete di fondo.

Alcuni cubicoli presentano notevoli decorazioni pittoriche, di cui alcune con soggetti collegati ai simboli della religione ebraica e molte sepolture sono caratterizzate dalla presenza di epigrafi greche e latine ancora visibili in loco.

Anche esternamente sono presenti sepolcri di epoca romana allineati lungo la via Appia Antica e tuttora visibili.

Attualmente si trovano in proprietà privata e sono accessibili esclusivamente con visite private.

 

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L’11 novembre 1978 il Ministero dichiara l’interesse archeologico particolarmente importante di un rilevante monumento funerario in prossimità del fiume Almone, nella valle della Caffarella, e contestualmente istituisce una fascia di rispetto per salvaguardarne la prospettiva.

L’edificio, databile al II secolo d.C. ed erroneamente definito Colombario Costantiniano, è in realtà di un sepolcro a tempietto, che in origine doveva avere due colonne in antis su alto podio, oggi scomparse. La struttura, a due piani, è costruita in opera laterizia di ottima fattura, con mattoni gialli per le parti strutturali e rossi per i particolari decorativi. Il piano inferiore corrisponde alla cella funeraria, coperta a crociera e provvista di nicchie rivestite di lastrine marmoree, ognuna sormontata da finestre strombate. Il piano superiore doveva essere adibito alle cerimonie funebri. Nel medioevo, l’edificio viene trasformato in mulino; l’uso è documentato dal ritrovamento, sul pavimento della camera inferiore, di un condotto, regolato da una chiusa, per incanalare l’acqua, che faceva girare una macina.

Il 9 ottobre 2007 il Ministero emana un decreto per dettare, sull’area a sud del Castrum Caetani, prescrizioni di tutela indiretta, come previsto dal Codice dei beni culturali, per salvaguardare la prospettiva, la luce e le condizioni di ambiente e di decoro dei beni culturali immobili. Il Castrum Caetani, sorto ai primi del Trecento a cavallo dell’Appia Antica al terzo miglio e attorno al mausoleo di Cecilia Metella (30-20 a.C.), riutilizzato come mastio, col palatium e la chiesa di San Nicola è uno dei più importanti e grandiosi esempi di architettura medioevale dell’area laziale. L’area oggetto del decreto, di proprietà privata e in parte edificata, è in continuità topografica con il lato meridionale del circuito murario del Castrum. Le mura, intervallate da torrette aperte verso l’interno e coronate da una merlatura a coda di rondine, presentano paramenti in bozze e bozzette di tufo e materiali di reimpiego (marmo bianco, leucitite, calcare e travertino) e si sviluppano sui lati lunghi per circa 240 metri e sui lati corti per circa 98 metri, comprendendo un ambito di quasi 2 ettari di spazio.

Le prescrizioni imposte col decreto inibiscono ogni modifica dello stato dei luoghi, vietando le alterazioni volumetriche dei manufatti esistenti, la creazione di nuovi volumi e la messa a dimora di alberature ad alto fusto.

Il 7 aprile 1913 un messo comunale, su richiesta del Ministero della Pubblica Istruzione, notifica al signor Augusto Pisani, residente a Roma in via del Biscione al civico 89-90, che “il rudero facente parte del Templum Martis nel terreno di sua proprietà nella tenuta della Caffarelletta ha importante interesse ed è quindi sottoposto alle disposizioni contenute negli articoli 6, 7, 13, 14, 29, 31, 34 e 37” della legge 20 giugno 1909, n. 364.

La legge, frutto dei lavori di una Commissione istituita nel 1906 su iniziativa del Ministro della Pubblica Istruzione, ampliava l’ambito della tutela dai generici monumenti alle “cose immobili e mobili che abbiano interesse storico, archeologico, paletnologico o artistico”. Disponeva limiti alla circolazione degli oggetti di interesse storico ed artistico, non appartenenti ad autori viventi, e di epoca risalente a più di 50 anni; stabiliva l’inalienabilità dei beni culturali appartenenti allo Stato o appartenenti a enti pubblici e l’obbligo di preventiva denuncia per quelli privati; introduceva il diritto di prelazione nei trasferimenti di beni appartenenti a privati, la possibilità di acquisto coattivo, misure volte a impedire arbitrarie manomissioni, demolizioni, alterazioni dei beni sottoposti a tutela e istituiva il procedimento della notifica al proprietario, attraverso il quale si ufficializzava la protezione del singolo bene.

Gli atti di notifica definivano spesso, come nel nostro caso, il bene da tutelare con indicazioni topografiche più o meno dettagliate ma senza riferimenti alle particelle catastali, cosa che può rendere difficile, talvolta, l’esatta definizione dell’immobile tutelato.

Sappiamo però da Rodolfo Lanciani che nel terreno della famiglia Pisani, “sul vicolo delle Sette Chiavi in valle dell’Almone”, esisteva una “piscina”, disegnata già da Pirro Ligorio e descritta da Thomas Ashby, e “sotto la piscina avanzi di costruzioni con cripte”.

La “piscina” nel terreno Pisani, nella quale si può individuare il “rudero” del provvedimento di tutela, è stata riconosciuta nella cisterna monumentale di via Bitinia, ubicata lungo il costone tufaceo a nord dell’Almone, nell’area indicata nella cartografia catastale come “La Caffarelletta”. Il prof. Lorenzo Quilici l’ha ricondotta a una grande villa romana sepolta e ne ha datato la costruzione alla prima età imperiale.

Il poderoso serbatoio, a camere parallele comunicanti, coperte con volte a botte, è sostenuto, sul fronte a valle, da poderosi contrafforti. È stato recentemente ristudiato e restaurato dai colleghi del

Parco Regionale dell'Appia Antica

e della

Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali

(si veda A. Rossi, L. Asor Rosa, M. Marcelli, C. La Rocca, C. Rossetti, G. Marconi, Parco Regionale dell’Appia Antica. Interventi di restauro e valorizzazione di alcune cisterne nella valle della Caffarella, Mun. VII, in Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma, CXVII, 2016, pp. 358-365).

Nelle immagini, la copia della notifica, la localizzazione su foto area Google, il monumento nei rilievi di Pirro Ligorio (da S. Ranellucci, Restauro ambientale della Valle della Caffarella a Roma, 2012, fig. 149, p. 237), di Rodolfo Lanciani (da M. Buonocore, Appunti di topografia romana nei codici Lanciani della Biblioteca Apostolica Vaticana, 2001, p. 135) e nella pianta di Pietro Rosa, nella quale compare indicato come “villa antica” (Frutaz, Le Carte del Lazio, III, 1972, tav. 276), e alcune foto della cisterna oggi.

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