È il 19 gennaio 1944, ore 13.45: un ricognitore americano sorvola Roma e scatta alcune fotografie della via Appia Antica tra il III e il V miglio. Poco più a sud, gli alleati stanno tentando di sfondare la Linea Gustav: di lí a breve si consumerà la Battaglia di Montecassino. Tutta l’area centrale d’Italia viene documentata dai ricognitori americani del 3rd Photographic Group, afferente al 15th Air Force USAAF, di stanza a Brindisi. Il 3rd Photo Group aveva già fornito informazioni fotografiche a supporto delle campagne militari alleate in Sardegna e in Sicilia e allo sbarco a Salerno. Dall’inizio del 1944 cominciò a coprire l’area di Anzio e il percorso verso Roma. Da Napoli infatti, il 21 gennaio, circa cinquantamila soldati daranno il via all’Operazione Shingle sbarcando ad Anzio il giorno seguente. Le due fotografie che compongono l’immagine dell’Appia Antica, sono state scattate con una macchina fotografica aerea Kodak K24, a una quota di ripresa di 21.500 piedi (ca. 6500 metri) nel corso della missione n. 229. Fotografando strade, ferrovie, porti, si componeva un quadro documentale che costituiva supporto alla Quinta Armata nel percorso attraverso l’Italia. La conoscenza dello stato del terreno e della dislocazione del nemico determineranno i movimenti delle truppe alleate, che entreranno a Roma il 4 giugno 1944.
Al centro della fotografia storica si nota una zona circolare leggermente più contrastata che nasconde il Forte Appia Antica. La censura minuziosamente assemblata sostituisce alla ripresa originale un brano di territorio tratto dalla stessa fotografia e narra una pratica abituale che veniva effettuata, a fini militari e d’intelligence, su documenti classificati segreti.
L’immagine a colori è una fotografia satellitare tratta da Google Map realizzata nel 2018.
La barra verticale che scorre tra le immagini giustapposte consente un salto temporale di quasi ottanta anni restituendo un immediato riscontro delle trasformazioni del territorio.
La vista è leggermente ruotata rispetto alle convenzioni: la via Appia Antica appare quasi orizzontale rispetto al suo andamento geografico che da nord-nord-ovest (centro di Roma) punta a sud-sud-est (il Meridione d’Italia). Questa perdita di capisaldi la rende più astratta ed evidenzia il suo ruolo di figura primitiva per la composizione di questo ampio settore della campagna romana. Un dato che è rimasto invariato fin dalle prime cartine geografiche, ma che è fissato dalla incisività delle fotografie: il paesaggio come dimensione culturale del rapporto tra natura e uomo porta gli echi delle divisioni agrarie che si riverberano nelle ombre dei recinti perpendicolari dei campi; nelle alberature; nelle differenti colture ed arature; nelle strade secondarie che si innestano come rami congiungendo tra loro arterie principali e punti nodali. Perfino le costruzioni recenti che oggi punteggiano la tela scarna del ’44, hanno sempre il fronte principale rivolto verso la prestigiosa Regina Viarum: una spietata contraddizione tra il riconoscere l’immenso valore di questa strada ed alterare individualisticamente il territorio di cui si alimenta il respiro di quel tracciato antico.
Nonostante la resistenza di lungimiranti tecnici, intellettuali, amministratori e funzionari, che si sono impegnati fin dal XIX secolo, le due immagini registrano anche radicali, inesorabili trasformazioni. Oltre le serpeggianti infiltrazioni del costruito lungo vecchi sentieri di macchinari e pastori agricoli trasformati in strade private, oltre i “miracoli” delle moltiplicazioni di ville e piscine a partire da insignificanti ripostigli di attrezzi e vasche di irrigazione, quello che salta prioritariamente all’occhio dell’osservatore è la trasformazione di un contesto produttivo non dissimile dalla restante campagna romana in un grande mosaico verde. La via Appia Antica nel ’44 con la sua austera e preminente linea retta, rimarcata dai filari di pini e cipressi, spiccava su un territorio agricolo ed estrattivo desolato e funzionale. Oggi, la strada e i suoi monumenti emergono appena da quel contesto di estesi spazi alberati e di giardini, in questo grande parco urbano concepito fin dal Piano Regolatore del 1909 e dalla visione di Piacentini del 1916. In qualche modo, ironicamente, salvare il paesaggio dell’Appia ha significato trasformarlo profondamente, adeguandolo più o meno consapevolmente ai nuovi standard e le nuove sensibilità culturali della contemporaneità.
A questa scala si colgono anche altri cambiamenti ed invarianti che segnano il trascorso inesorabile di 74 anni, alcuni comuni a tutto il Paese come con la tela di asfalto dell’infrastrutturazione viaria, la nuova dimensione agricola, l’ibridazione tra città e campagna delle zone periurbane, l’apertura delle aree militari alla conoscenza territoriale condivisa, la scomparsa delle cicatrici di guerra e l’incremento demografico. Quello che le immagini però non rendono è la microscopica trama di vite che sempre più ha avvolto e si è legata a questo frammento della Regina delle Vie, facendola diventare il parco per eccellenza di tutta la città ed oltre, con i suoi scenari, i suoi luoghi e la sua natura straordinaria. Un valore riconosciuto con l’istituzione dei due omonimi parchi, quello naturale Regionale ed il “neonato” Parco Archeologico, pronti a cogliere ed affrontare le nuove sfide che la via Appia continua a proporre con millenaria caparbietà.
Testo di Simona Turco e Luigi Oliva.
Ringraziamo l’Aerofototeca Nazionale dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione che, oltre a ricercare e concedere l’uso delle immagini (con licenza CC-BY-NC-SA 4.0), grazie alla disponibilità di Elizabeth Jane Shepherd ha realizzato il lavoro di Juxtapose con Rodolfo Felici e Simonetta Ceraudo.