Nella lunga storia delle battaglie per la difesa dell’Appia Antica, un primo, grande passo avanti fu fatto nel 1953, quando il Decreto Ministeriale del 14 dicembre ai sensi della legge n. 1497 del 1939, dichiarò di pubblico interesse il patrimonio paesistico-archeologico della zona compresa tra Porta San Sebastiano e il territorio di Boville.
Il giornalista Antonio Cederna, già attivo nella sua strenua lotta per proteggere la strada, intervenne però subito a evidenziare l’ipocrisia e l’inefficacia di quest’atto “imperfettissimo”, definendolo “efficace e opportuno come un cerotto applicato sopra una gamba stritolata da un treno”: mentre si dichiarava il notevole interesse pubblico dell’Appia, appariva l’assoluta mancanza di capacità e volontà di far rispettare i contenuti del decreto, dato che gli stessi uffici del Ministero concedevano nulla osta a costruire, purché le case fossero realizzate con gli accorgimenti previsti. Contemporaneamente, infatti, era stato approvato il Piano Particolareggiato che autorizzava una serie di costruzioni e strade che tranciavano l’Appia.
L’anno seguente (1954), quindici personalità eminenti firmarono un appello contro la rovina della strada (tra questi, Corrado Alvaro, Riccardo Bacchelli, Vitaliano Brancati, Elena Croce, Ugo La Malfa, Alberto Moravia, Ignazio Silone, Umberto Zanotti Bianco), mentre Antonio Cederna continuava a battersi con serrate denunce. Nello stesso anno fu presentata una proposta di legge per il recupero totale dell’Appia, firmata da Ugo La Malfa e altri deputati, in base alla quale si sarebbero demolite tutte le costruzioni abusive e, con indennizzo, anche quelle costruite con licenza edilizia e con una zona di rispetto di un chilometro da un lato e dall’altro della strada. Ciononostante, si consentì che il territorio venisse consumato dalle costruzioni legalizzate dalle licenze e dai nulla osta rilasciati, a dispetto del vincolo del 1953 e in base al Piano Territoriale Paesistico, definitivamente approvato nel 1960 sotto le pressioni dei costruttori.
Negli stessi anni, veniva realizzata l’autostrada del Grande Raccordo Anulare che tagliava l’Appia all’altezza del VII miglio, distruggendo un centinaio di metri del basolato antico e alcune strutture di una villa romana con cisterna.
Nel 1965 il Ministro dei Lavori Pubblici, per gli straordinari valori dell’Appia, approvò un decreto specifico per questo ambito, nel Piano Regolatore Generale, destinando a parco pubblico i 2500 ettari del territorio dell'Appia Antica con la previsione di acquisizione pubblica.
Nel 1988 la Regione Lazio istituisce il Parco Regionale dell'Appia Antica, ma le aree di proprietà pubblica sono tuttora una percentuale inconsistente in relazione agli oltre 2500 ettari di proprietà privata: circa 50 ettari sono in consegna allo Stato (con la strada, la Villa dei Quintili, la Villa dei Sette Bassi e altri complessi più piccoli) e 140 ettari circa al Comune di Roma, tra Caffarella, complesso di Massenzio al III miglio e pochissimo altro.
Le prescrizioni di inedificabilità sono rimaste invariate, ma il risultato è che non si sono costruiti palazzi, bensì si sono moltiplicate le costruzioni abusive. Il fenomeno dell’abusivismo è stato in buona parte legittimato dalle leggi sui condoni edilizi con procedure che hanno escluso, nella quasi totalità dei casi, i pareri delle Soprintendenze di Stato, in assenza di ogni valutazione di merito, con ignoranza e superficialità, imperdonabili se si pensa all’impegno profuso per la conservazione di questo patrimonio.
La legge del Parco Regionale è stata modificata nel 1997 includendo la zona nelle aree naturali protette, le cui principali finalità sono la tutela degli habitat naturali e la valorizzazione delle attività produttive compatibili con la salvaguardia dell’ambiente. Tale legge, pur rappresentando un momento importante nella storia della tutela della Via Appia, risulta uno strumento inadeguato alla difesa, alla valorizzazione e all’accrescimento di un patrimonio archeologico, monumentale e paesaggistico di tale rilevanza.