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Sito ufficiale Parco Archeologico dell'Appia Antica

«Appia delle meraviglie (antiche) e del degrado (moderno)»

di Carlo Alberto Bucci,
la Repubblica, ed. Roma, 2 febbraio 2008.

Magnifiche rovine avvolte in prati verdi a perdita d´occhio, questa è oggi Villa dei Quintili. Ma ai tempi degli imperatori era un’altra Roma: una distesa infinita di colonne e marmi bianchi, intonaci tinti di rosso “morellone”, mosaici policromi, riquadri fatti da pietre preziose e lapislazzuli color del cielo, ma anche giardini disegnati come fossero architetture tutt’intorno a quelle vere che comprendevano saloni di rappresentanza e spazi per i giochi gladiatori. E l’estensione architettonica di questo luogo degli ozi – voluto dalla famiglia dei Quintili e talmente desiderato da Commodo da indurlo a sterminare i padroni di casa pur di avere il loro paradiso affacciato sull’Appia – sta venendo chiaramente alla luce grazie alle novità degli scavi iniziati l’11 ottobre 2007. Ma la felicità per la scoperta è guastata dalla notizia che sono finiti i 250mila euro stanziati. Così, ieri, gli operai hanno spento le ruspe e fatto le valige.
Con gli archeologi Riccardo Frontoni e Giuliana Galli – che, diretti da Rita Paris, hanno scavato per conto della Soprintendenza archeologica – in appena quattro mesi di lavoro gli uomini hanno trovato i muri e il perimetro di 52 stanze (che s’affacciano su una grande esedra del diametro di 40 metri, utilizzata probabilmente per gli allenamenti) che servivano per i massaggi degli atleti o per irrobustirli attraverso i pesi; un porticato lungo mezzo chilometro: che permetteva ai pensatori di filosofare camminando e ai podisti di allenarsi correndo; oppure, ancora, un tappeto musivo colorato da minuscoli fiori geometrici; e, all’interno di una rotonda dal raggio di 5 metri, un vecchio, arrugginito, piccolo pezzo di ferro: ma di fondamentale importanza perché appartenne a uno scultore romano. «Fuori da Pompei, è rarissimo il ritrovamento di uno scalpello. L’abbiamo rinvenuto nello strato più basso di questo ambiente circolare e appartiene probabilmente al tempo di Commodo, quando gli scalpellini smontarono i pannelli marmorei per crearne di nuovi», spiega Frontoni.
Per i giovani archeologi che da più di dieci anni lavorano alla villa costruita sull’altopiano lavico di Capo di Bove – belvedere da cui i padroni di casa potevano contemplare il paesaggio fino a Tivoli e gareggiare in bellezza con la villa di Adriano – la frustrazione di questi giorni è come quella di un cercatore d´oro che ha trovato un filone ma non può scavarlo. Del mosaico floreale che rivestiva il corridoio collegato al frigidarium, è stata portata alla luce solo la parte iniziale. I restanti 20 metri sono sotto il cumulo di terra depositata per secoli sulle vestigia sepolte. Dalla parte pulita, sono venuti fuori lo zoccolo di marmo in “greco scritto”, l´intonaco rosso, molte tesserine di pasta vitrea della volta tinta d’azzurro e collassata sul pavimento. Ma, oltre a questo caleidoscopio, è comparso «anche il muro di un forno usato in epoca altomedievale per riciclare il vetro, e decine sono i frammenti di vetro antico squagliato che abbiamo trovato nella terra» spiega la Galli.
Gli archeologi avrebbero potuto limitarsi a scavare solo questo corridoio delle meraviglie. Oppure riportare alla luce esclusivamente la rotonda che, nel saggio di scavo, ha restituito decine di frammenti di marmi giunti dall’Asia e dall’Africa: fior di pesco, serpentino, rosa e giallo antico, prezioso alabastro. E avrebbero aggiunto così altre attrazioni al sito aperto al pubblico dal 2000. Ai piaceri dell’occhio, la Soprintendenza ha preferito però la sostanza delle forme. E ha riportato alla luce tutto il perimetro degli edifici scoperti dove si pensava ci fossero giardini. Per sapere se la rotonda era coperta con una volta come il Pantheon e se c’erano colonne sulla fronte dell´esedra, c’è solo da trovare altri fondi. E rimuovere quel paio di metri di terra che soffocano marmi, mosaici e storia.