di Rita Paris,
Eddyburg.it, 28 marzo 2011.
Quando si parla di Appia fanno notizia l’abuso edilizio, la demolizione, la piscina e vicende di questo genere. In realtà la notizia vera dovrebbe essere che l’Appia non esiste, ossia non è quello che la gente si aspetta che sia, un “parco archeologico” dove si possa passeggiare e ammirare i monumenti antichi che qui sono tanti e in splendida sequenza.
Il progetto ottocentesco di “ristabilimento” della strada e i suoi monumenti fu realizzato con grande impegno perché tutti lo desideravano, ossia desideravano che quei monumenti visitati e immortalati dai viaggiatori e dagli artisti del Grand Tour nel ‘700 diventassero patrimonio disponibile per la collettività. Fu creato “un museo all’aperto” con concezione moderna, dove i reperti antichi furono lasciati sul posto grazie a un allestimento che ne consentiva la conservazione e l’ammirazione da parte di tutti. Anche gli espropri necessari per portare a compimento quest’opera, dilatando lo spazio della strada, furono definiti in piena armonia con i proprietari in vista del dell’utile grande che si procurava alla storia, all’arte.
Ci si aspetterebbe oggi che questo museo all’aperto e il territorio circostante venissero conservati come risorsa preziosa ed esclusiva, gestita con la perizia maturata in questo arco di tempo dai tecnici esperti, con la duplice finalità di conservazione e di valorizzazione per la fruizione e il benessere pubblico.
A proposito di ciò che è accaduto e accade quotidianamente sull’Appia e prendendo spunto dall’episodio trattato nell’articolo apparso su la Repubblica del 26 marzo 2011, vi sarebbero molte considerazioni da fare ma innanzitutto viene da domandarsi se esiste un interesse della collettività a fronte di interessi esclusivamente privati, quindi se esiste ancora il vincolo del rispetto delle regole e se vi è qualcuno preposto alla attuazione dello stato di legalità.
Il riconoscimento di interesse pubblico, quando definito, deve essere rispettato e nel caso dell’Appia – senza neppure appellarsi ai vincoli che pure esistono e che dettano prescrizioni – dovrebbe bastare la consapevolezza dei valori delle zone in cui si vive e si lavora. Espressione civica che non si manifesta solo assegnando all’azienda agricola di famiglia il nome del complesso monumentale in cui è situata.
I funzionari della Soprintendenza non amano svolgere un ruolo di controllo di tipo poliziesco, né avere comportamenti vessatori; si tratta per lo più di professionisti che hanno studiato la letteratura e l’arte del mondo antico, che si dedicano allo scavo e alla sua interpretazione, che ricercano e sperimentano le migliori tecnologie del restauro, per la conservazione e che trovano la migliore soddisfazione nel proprio operato quando il loro impegno è offerto al pubblico godimento, quando le scuole, i cittadini e gli studiosi di tutto il mondo vengono in questi luoghi e ne apprezzano la bellezza e il valore storico e culturale.
Tentare di entrare in una proprietà privata con il risultato di essere lasciati sulla porta è un’incombenza in più, non piacevole, anche perché molto spesso si è costretti a prendere atto di interventi e situazioni non conformi alle prescrizioni che pure per tutti dovrebbero valere.
In qualsiasi altra parte del mondo civile e forse anche in altre parti della nostra nazione vi è ancora il rispetto dei valori, tanto più quando si tratta di beni culturali. Chi vive e lavora sull’Appia invece, ha adottato un modo molto particolare di intendere l’amore per l’antico che si esplica nella continua violazione delle regole, in una conflittualità protratta con chi ha l’onere di salvaguardare questo territorio esercitando gli strumenti della legge.
In questi ultimi anni l’Appia è stata una fabbrica di scavo, di restauro, di rilievo, di studio e ricerca, di sperimentazione di sistemi e tecniche di conservazione, di allestimenti, di didattica, di formazione, di organizzazione di eventi culturali; tutto questo cercando di incrementare il patrimonio pubblico per metterlo a disposizione della collettività.
Che la strada e suoi monumenti sui lati costituiscano un unico complesso monumentale in consegna allo Stato forse non è noto a tutti: come tale va invece trattato attraverso una opportuna informazione e protezione con cancelli (come era fino ai primi decenni del ‘900) a cui oggi si potranno aggiungere sistemi di videosorveglianza. Sarà più facile il controllo dei furti e anche ovviamente del traffico improprio che guasta, notte e giorno, quello che la Soprintendenza va quotidianamente restaurando e conservando.
Ma soprattutto, la situazione di continua illegalità che caratterizza una delle aree archeologiche più preziose della capitale richiede delle risposte ormai improcrastinabili: l’attività dei pochi funzionari statali deve tornare ad essere il risultato di scelte di tutela e gestione del nostro patrimonio esplicite e rinnovate al più alto livello. L’Appia è un bene comune che, come tale, deve essere difeso, nella diversità dei ruoli e delle competenze, dall’intera collettività.